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L'alba del pianeta delle scimmie: Recensione

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    lalbadelpianetadellescimmie_leggero
    Titolo originale: Rise of the Planet of the Apes
    USA: 2011. Regia di: Rupert Wyatt Genere: Fantascienza Durata: 105'
    Interpreti: James Franco, Tom Felton, Freida Pinto, Andy Serkis, Brian Cox, John Lithgow, Tyler Labine, David Hewlett, David Oyelowo, Makena Joy, Kevin O'Grady, Tammy Hui, Rufus Dorsey, Jeb Beach, Jesse Reid
    A chi lo interrogò su quale fosse la sua vera direzione oggi,il cinema di questo tempo rispose di essere impegnato ad effettuare operazioni di recupero di un pubblico un tantino perplesso di fronte alle scelte dei suoi autori,maestri di un’arte stanca e infelice.
    Afflitto da una forma acuta di futilità patologica,mai come in questa epoca il cinema ha attinto acqua dagli stagni,anziché da fonti,reinventando,adattando e riciclando idee,formule e concetti pescati negli archivi di una fantasia di prassi.

    E’ il cinema mercato,che si fa benefattore delle borse degli sceneggiatori di comic novels ed emanazione di sogni già scorsi sui vecchi schermi delle sale e richiamati in vita con l’illusione di una seconda gloria. Non è intuitivo valutare il perché dell’esistenza de: “L’alba del pianeta delle scimmie”,sedicente prequel del cult del ’68 e saga seguente,anche se da un ragionevole scetticismo a questo riguardo,può nascere il fondato sospetto di moventi tutt’altro che artistici.

    Neppure ci si spiega,con gli elementi della logica, del perché del battage informativo steso a tappeto da sei mesi a questa parte per promuovere un prodotto che,visto,forse apprezzato,viene subito riposto negli archivi della memoria e sugli scaffali del cinema dell’abitudine,una volta riaccese le luci in sala. Ibrido fra mezzo ecologico ed allarme profetico contro il disordine morale,la speculazione e il profitto nella ricerca,”L’alba del pianeta delle scimmie” presenta un titolo fortemente pretestuale e sfugge ad ogni classificazione che in qualche modo lo colleghi al gigante originale e ai capitoli successivi, a meno che le iperboli sull’etica biogenetica ne possano contenere la spiegazione.

    Will Rodman (James Franco) lavora in una Compagnia di ricerche nel campo della medicina,dove effettua test su scimpanzé,per comporre una terapia genetica che stimoli il cervello e far sì che le sue cellule possano autorigenerarsi in un processo neuro genetico che porta a limitare o annullare i danni causati dall’Alzheimer,malattia di cui il padre (John Lithgow),soffre.
    Nobile intento,ma le fila della Compagnia di ricerca le tira Steven Jacobs (David Oyelowo),avido faccendiere interessato solo ai margini di guadagno e quando un esperimento fallisce e la cavia cui è stato iniettato il siero pare impazzire dopo un’impennata di attività cerebrale,l’ordine è quello di sopprimere la scimmia che,si scoprirà,voleva solo difendere la propria creatura nascosta nella gabbia. Incapace di uccidere anche il piccolo,Will lo porta a casa e si prende cura di lui,lo chiamerà Caesar e lo assisterà mentre lo vede crescere in forza e intelligenza,affiancato dalla compagna Caroline (Freida Pinto),anch’essa ricercatrice. Intanto,Will perfeziona il suo prodotto,l’ALZ – 12,lo inietta al padre,che subito migliora le sue condizioni.

    Ma gli effetti del siero hanno breve durata e il padre ricade ben presto nel suo primitivo stato di demenza,mentre l’intelligenza di Caesar si sviluppa in misura esponenziale e il comportamento dell’animale è sempre più prossimo a quello umano.
    Ma Caesar è anche animale,e le due nature daranno origine a all’evoluzione di una specie che chiederà all’uomo il proprio riscatto. Nella logica della rivoluzione si assista a qualche sequenza di “Io Robot” e si ascolti Sonny domandare “chi sono io?”
    Il film è agitato da innegabili fermenti ideologici,allegorie e sottotesti,ma quello che non si incontra è lo spirito rivelatore,il soffio di magia visiva che anima le idee dando respiro e senso di novità.
    L’accusa non è nuova,e l’araldo della moralità ha già portato questo stendardo in “Monkey Shines”,”Congo’95”,”Link”,e altre parate,rovesciando tributi al grido d’allarme per il rispetto ormai rimosso verso la Natura e il rapporto fra Creatore e creatura. Wyatt agghinda la narrazione di riferimenti tematici – innumerevoli nella nomenclatura e nelle situazioni della serie originale – ed indizi dottrinali,scandendo un ritmo composto da sottintesi che si alternano ad effetti spettacolari,tessuti insieme sul telaio della fantascienza.
    Così,al mutismo cerebrale del padre di Will,fa contrasto la scintilla intelligente di Caesar e sull’assopirsi dell’intelletto umano risalta il guizzo geniale della scimmia nata animale e fattasi come uomo.

    Ma l’uomo non può farsi Dio e la sua scalata alla Torre di Babele lo porterà a confrontarsi con il frutto delle sue stesse opere e il moto che ne scaturisce è un gioco Darwiniano di sviluppo e regressione. Il regista non esita a inscenare leve psicologiche ed algoritmi persuasivi,standardizzando una narrazione che alla fine si racconta nei propri clichès,senza guizzi o stupore. Così la furia di un animale che difende il proprio figlio scoppia nell’istante in cui Jacob interviene su Will,parlando dell’enorme profitto che si può cavare dall’applicazione della terapia,come a voler sottolineare quanto il sentimento primario della maternità possa entrare in conflitto con il limite dell’interesse economico.
    Non è utile cercare in “L’alba” i risvolti sociologici e politici che hanno fatto del “Pianeta” originale una favola filosofica nel cinema dell’anticipazione. Il lavoro di Wyatt vive più d’immagini che di concetti e brilla al suo meglio nell’urgenza iconologica che si fa spettacolo per questi tempi,caricato di quell’enfasi visiva che il ricorso al digitale garantisce appieno.

    Convincenti e spettacolari,pure non destinate necessariamente a valorizzare una pellicola di rapido consumo,le immagini che introducono al terzo tempo sono il compendio dell’analisi grafica computerizzata.
    L’invasione della città,lo sciamare del branco fra le fronde degli alberi,lo scontro con le forze della polizia e l’esercito – non vengono fatte vittime nella popolazione umana – sono sequenze di forte impatto visivo tanto virtuale quanto godibile,cui fa riscontro la splendida mimica di Andy Serkis dietro l’animazione al Mocap.
    Dove messi in risalto,i simbolismi tessono suggestive immagini che si fanno linguaggio di un film che si offre senza tante ambizioni filosofiche o pretese cultuali ad un box office libero da impegni di sottoletture e disponibile ad un cinema di spettacolo ubbidiente alle regole che lo sorreggono. Allora il Golden Gate è emblematico nella sua realtà di mezzo di passaggio fra due territori e condizioni. Le scimmie lo varcheranno ed invaderanno il lato opposto.
    E l’albero che il giovane Caesar scala con il permesso di Will e Caroline,per godere della propria libertà,riapparirà in epilogo con un altro significato e sarà la scala che il nuovo capo userà per elevarsi al di sopra della città degli uomini,per poterla guardare dall’alto. Alle luci di una nuova alba....

     
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